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Il Basket come strumento d'integrazione

Il "nostro" Ash, gioca in Prima Divisione ed è uno dei frutti più maturi prodotti dal nostro vivaio: un'esperienza imprescindibile nel suo percorso di giocatore ma anche di giovane uomo figlio di immigrati. Un'esperienza che ha raccontato ieri, durante una tavola rotonda organizzata dal Progetto Migrain all'Auditorium di Fusignano.

Parole non banali, mai così attuali dopo i recenti tragici fatti di cronaca. Quello che segue è un estratto del suo discorso:

Voglio esordire con un versetto del Corano che mi piace particolarmente e che secondo me è particolarmente significativo nel momento storico attuale e in questa occasione di incontro:

O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda.

Sura XLIX, Al-Hujurât (Le Stanze Intime), Versetto: 13.

Per integrazione io intendo uno step successivo rispetto alla semplice immigrazione.

Non basta infatti che l’immigrato trovi un lavoro per considerare risolti i suoi problemi: lasciare la propria patria per emigrare comporta difficoltà enormi, basti pensare all’apprendimento di una nuova lingua, al trovare casa e lavoro combattendo spesso contro stereotipi e pregiudizi, al comprendere una cultura diversa da quella di appartenenza. Credo che l'importante sia affrontare questa sfida con spirito di intraprendenza e propositività, cercare di essere parte attiva nella comunità nella quale ci s'inserisce, trovare un punto di equilibrio - un BEP per usare termini economici - tra vera integrazione e la necessità di non dimenticare o rinnegare le proprie origini.

La mia esperienza di integrazione è iniziata indubbiamente dalla scuola.

Premetto che non è il mio caso, ma il bambino o lo studente immigrato, può diventare il primo “mediatore culturale” della famiglia, specialmente nei primi anni di immigrazione. Spesso impara la lingua meglio e più rapidamente rispetto ai genitori. Integrare positivamente i bambini significa integrare positivamente la famiglia intera, si pensi ai colloqui periodici con gli insegnanti, alla partecipazione nei consigli di classe o di istituto, le occasioni di cene di classe o compleanni. Comune e scuola dovrebbero collaborare nella gestione dei servizi a favore di immigrati, e qui a Fusignano viene fatto. È stato promosso un servizio di “dopo scuola”, in collaborazione con la Parrocchia di Fusignano, a cui purtroppo non ho potuto dare il mio contributo per impegni scolastici, frequentato moltissimo da giovani stranieri.

Un altro dei riuscitissimi servizi extrascolastici promossi dal Comune è il Cantiere del “Cerchio”.

Art. 2 statuto del Cerchio: Il Cerchio ha lo scopo di supportare le attività dei servizi per l’infanzia, di integrare la programmazione didattico-educativa delle Scuole Elementari e Medie e di facilitare l’aggregazione sociale dei giovani.

All’interno di questo spazio, oltre ad essermi divertito come un matto, ho conosciuto persone splendide, mi sono messo in gioco e ho scoperto una mia certa vena creativa, che tutt’ora mantengo attraverso il disegno e la scrittura. Una volta che sono diventato troppo grande per partecipare al Cantiere ho trovato un escamotage per continuare a essere a contatto con quell’ambiente: da quest’anno sono diventato educatore. Aldilà degli scherzi, oltre alla possibilità lavorativa in sé, l’ho percepita come un’opportunità: avevo ricevuto tanto dagli educatori di allora, e così come io vedevo Laura, Betty e Berto come figure di riferimento, ero entusiasta all’idea che i ragazzi mi potessero vedere come una risorsa, chissà, magari come un esempio. Da fruitore a risorsa, posso dire con un gioco di parole abbastanza triste che il cerchio si chiude.

Istruzione e sport: è proprio lo sport l’altro caposaldo nel mio processo di integrazione. Milito nella Prima Squadra di pallacanestro locale e cerco di essere sempre in prima fila quando si tratta di organizzare eventi sportivi a Fusignano - due anni fa ho anche fatto il vice-allenatore di una squadra giovanile -, questo perché il mondo dello sport mi ha dato tanto, e vorrei che desse tanto al maggior numero possibile di ragazzi. Sono sicuro che possa essere un elemento di integrazione primario. Un dato che mi ha particolarmente colpito, durante l’esposizione di un giovane ricercatore universitario durante il meeting di Forlì, è il fatto che il campione di giovani immigrati intervistato vedeva come principale figura educativa di riferimento l’allenatore in percentuale addirittura superiore a quella degli insegnanti. Non voglio assolutamente sminuire il ruolo degli insegnanti, ma è indubbio e l’ho provato sulla mia pelle, che lo sport ti insegna un nuovo modo di pensare e di orientare il comportamento: rispettare le regole, garantire le pari opportunità e la meritocrazia, valorizzare la diversità e l’unità, il rispetto dell’avversario e delle regole comuni, la lealtà, la consapevolezza del proprio ruolo, bandire la violenza fisica e verbale, combattere la discriminazione e la slealtà.

Piccole difficoltà nel processo di integrazione ci sono state, ma è fisiologico che ci siano, le minoranze ci sono sempre e io aggiungo sempre che c’è un motivo per cui sono tali. Tutto sommato non posso che provare un profondo sentimento di riconoscenza verso questo Paese, che mi ha dato tanto e a cui spero di dare abbastanza. È qui che secondo me è racchiuso il nocciolo del tema dell’integrazione.

Una cosa che ho imparato dagli studi di economia che sto conducendo, e che secondo me non è valida solo all'interno di un'azienda ma anche in prospettiva più ampia, è che tutta la vita è un dare e un avere, un do ut des, ma con una differenza significativa: dai qualcosa, fai qualcosa di positivo, sii propositivo, mettiti in gioco, ma senza pretendere o far affidamento sul fatto che ciò che fai venga ripagato in qualche modo, fallo perché è giusto.

Il modello di integrazione francese, fiore all’occhiello europeo, dopo i recenti fatti di Parigi ora è in crisi e messo in discussione. Il messaggio che vorrei trasmettere, che spero sia passato, è che gli immigrati non sono sanguisughe ma risorse - e mi piace pensare che il 99% degli immigrati la pensi così - e che, aldilà dei gesti simbolici, ciascuno di noi dovrebbe concretamente fare qualcosa, dare il proprio massimo affinché certi luoghi comuni vengano seppelliti per sempre. Grazie.

Ash racconta la sua esperienza mentre sullo sfondo appare una foto della nostra formazione di Prima Divisione di due stagioni fa.

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