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COME HO CONOSCIUTO MIO FRATELLO
di LB#15

Questa vicenda non nasce nel rassicurante abbraccio del Playground di Fuso. Eppure è legata a esso dall’intricata trama che unisce Fusignano, il Basket e la nostra vita. Era estate e faceva un caldo torrido. Dice niente? Ti puoi aspettare ogni cosa in estati così. Anche di cercare del basket e trovare un fratello.


Tutto cambiava in quei giorni, c'era un vento caldo carico di novità. Ruppi gli indugi e cercai un altro posto, lontano, per giocare la stagione seguente. Finito un ciclo diventa necessario conoscere altre realtà, per poter migliorare la nostra. Assieme a coluicheungiornosaràconosciutocomeMarcoach, ma che allora era solo Marco, decidemmo di fare una telefonata. Bingo al primo colpo! L'anno prossimo saremo a Russi, campionato di Promozione. In tasca solo la certezza che non conoscevamo nessuno della squadra. Mai visti, ma siamo dentro al primo colpo.

 

Questi di Russi sono strani, e con quest’unica convinzione mi preparai all’avventura. Fin dai primi allenamenti si capì una cosa, che la squadra aveva due anime: ”quelli di Russi” e “gli altri”. Questa situazione è descritta a pagina 23 del libro “Come NON si costruiscono i gruppi”. Eppure si capiva che era una delle compagini più forti e complete del campionato di Promozione, unico difetto la panchina corta. E noi eravamo qui proprio per correggere questo neo. Insomma, squadra fortissima ma tutto sbagliato. Questi di Russi sono strani...


C’era tutto: un playmaker veloce “di Russi”, centri grandi e grossi “di Russi” e “degli altri”, ali e guardie con punti nelle mani “di Russi” e “degli altri”. Tutto equamente diviso e così mal gestito da un allenatore completamente inadatto, da riuscire a vincerle tutte. Questi di Russi sono molto strani...


Non s'era però ancora visto il play “degli altri”. Poi, un giorno, arriva.

3… 2… 1… BOOOOM! DI-NA-MI-TE!
Ricordo perfettamente la primissima impressione che mi fece. Guardandomi negli occhi, quel ragazzo che non mi conosceva, che non mi aveva mai visto e non aveva la più pallida idea di come e in che ruolo giocassi, mi disse senza parlare: “Io ti batto. Ti sfido e ti batto. E se non riesco a farlo subito, continuerò a provarci, a costo di morire nel tentativo”.

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Il mio primo pensiero, sgombro di qualsiasi pregiudizio, fu: “Ma chi è questo?”. Poi lo vidi giocare. I suoi movimenti erano allo stesso tempo felini e secchi, quasi a scatti per l’inattaccabile convinzione che li generava. Movimenti da playmaker, ok, ma da playmaker che sapeva di avere un fisico da guardia. Era agonismo allo stato puro. Non solo un play, semplicemente il pallone lo gestiva sempre lui, non perché fosse il suo ruolo, ma perché non avrebbe permesso a nessun altro di farlo, a nessun altro.


All’interno di una squadra in cui il massimo dell’agonismo si palesava alla fine del mese quando si confrontavano i rimborsi percepiti, era il giocatore perfetto per la nostra idea di basket. "Prima giochiamo, fatichiamo, sputiamo sangue sul parquet, poi parliamo", questo era il suo credo. E in seguito parlammo molto.


L’esperienza di Russi si concluse nell’unico modo possibile: nel momento decisivo, crollò tutto. A me rimasero due certezze: la prima che quelli di Russi sono proprio strani, la seconda che avevo conosciuto un fratello. Non restava altro che fare un piccolo miracolo: portarlo a giocare da noi. Più o meno era come convincere Michael Jordan a giocare nei Cleveland Cavs. E che problema c’era?

 

Pochi sono i gesti e le scelte nell’arco di una vita che a posteriori si possono giudicare giuste. Alcuni di quei gesti non li dimenticheremo mai. Da tempo provavamo a convincerlo di giocare con noi, ma mai avevamo fatto quello che feci quella sera. C'incontrammo casualmente in spiaggia a una festa. Ci salutammo, due parole, un paio di cazzate e poi ognuno per la sua strada. Almeno questo pensava lui. Semplicemente lo tempestai e lo feci tempestare di messaggi con falsi titoli di giornale inneggianti al suo arrivo a Fusignano. Non due o tre sms, ma centinaia e tutti con titoli diversi e tutti studiati. Cosa pensavo di ottenere? Strappargli un sorriso e l’occasione di riderci su. Ma ci rincontrammo la stessa sera e lui disse: “Ok, vengo, ci sono”. Sapevo che una volta pronunciate quelle parole non si sarebbe più tirato indietro.


Fu così che i suoi occhi cerulei si posarono su Fusignano e contribuirono da allora a illuminare con luce di leggenda il Basket a Fuso. Fu così che Luke diventò mio fratello.

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